È la gelosia di Circe all’origine del terribile sortilegio che dà vita ad uno di miti che più alimentano il fascino e il mistero dello Stretto. Vicino agli scogli di Zancle, su cui amava riposarsi e trascorrere le sue giornate, Scilla incontra Glauco, pescatore della Beozia, trasformato in una divinità marina per aver mangiato l’erba che ridava vita ai suoi pesci e poi istruito all’arte della profezia da Oceano e Teti. La visione di questo essere, metà uomo e metà pesce, terrorizza la ninfa al punto da farla scappare via. Glauco, abbandonato al suo destino, prova inutilmente a trattenerla urlandole il suo amore e narrandole la sua drammatica storia, scolpita e tramandata a noi oggi da Ovidio nelle Metamorfosi (“Non sono un mostro né una bestia feroce, o vergine, ma un dio dell’acqua […], prima però ero un mortale, ma a dire il vero il profondo mare era già il mio mondo”).

In preda alla disperazione, Glauco si rivolge alla maga Circe, dea figlia di Elio e della ninfa Perseide, famosa per i suoi incantesimi in grado di cambiare le sembianze degli uomini, nel tentativo di ricondurre a sé l’amata Scilla. Ma l’unico risultato che Glauco ottiene è quello di scatenare la gelosia della maga che prova subito ad allontanare Scilla dal dio marino sfoderando anche le armi della seduzione nei suoi confronti. Rifiutata da Glauco, Circe riversa la sua furia vendicativa su Scilla trasformandola con un ferale sortilegio in un feroce mostro munito di sei teste di cane latranti, terrore di navigatori e marinai di ogni epoca. Da quel momento, secondo la leggenda, Scilla si rifugia in preda alla disperazione e alla rabbia in una grotta sotto la Rocca dove sorge il Castello e che esiste ancora oggi, in prossimità di alcuni scogli a pochi chilometri da Cariddi che abita la sponda Sicula. Esseri condannati a vivere in eterno l’uno di fronte all’altro, entrambi presenza costante e inesorabile nel cuore del Mediterraneo.